Notizie storiche
È nel frangente storico della riorganizzazione della città di Taverna nel sec. XV che si colloca, parallelamente ad altri importanti insediamenti religiosi, la fondazione del Cenobio dei Padri Domenicani, assegnabile a fra’ Paolo da Mileto nel 1464 come risulta dalla bolla di fondazione, data da papa Paolo II (1464-1471) il 4 gennaio di quell’anno.
Nel 1478, Innocenzo VIII (1484-1492) con bolla del 22 agosto unì al convento l’Hospitale di Taverna, sede dell’Amministrazione cittadina; lo stesso anno veniva eretta all’interno della chiesa la cappella dedicata al nuovo patrono S. Sebastiano martire. La prima costruzione della chiesa, «edificata in tufo», subì gravi danni col terremoto del 1662.
Con Istrumento del 20 giugno 1668 Marcantonio Giglierano, Francesco Malacari e Romano Gabrieli, «si obligano con Fra Domenico De Roblano, di fare il Coro della Chiesa, conforme al disegno portato dal Romano da Cosenza». Nel 1678, i muratori Paolo Ferro e Francesco Antune demolirono l’altare maggiore «che era in tufo». Nell’ottobre di quell’anno si stava lavorando alla ricostruzione del pavimento della navata; l’intero edificio doveva essere già stato ampliato, mentre ancora in opera era la decorazione dell’interno, i cui stilemi, vicini a quelli della chiesa di S. Giovanni alla Valletta, disegnata da Mattia Preti, potrebbero essere un ulteriore motivo di sostegno dell’ipotizzata presenza in quegli anni dell’artista a Taverna.
Nel 1680 la ricostruzione della chiesa fu ultimata. Porta la stessa data l’iscrizione alla base sull’altare dedicato a S. Domenico. Nel 1681 l’Università cittadina stipulò la progettazione del nuovo altare di S. Sebastiano e «a proprie spese fece venire da Malta il quadro del glorioso Martire, dipinto dal celebre nostro compaesano Cavalier Mattia Preti, in piè del quale quadro tuttora esistente nella cappella ridetta, sta espresso lo stemma della Città». Il primo giorno del mese di aprile 1682, con documento notarile, la famiglia Poerio contrattò per la costruzione dell’altare del SS. Crocifisso. Non si hanno riferimenti documentari sulla costruzione degli altri altari della chiesa, per i quali il Preti inviò suoi dipinti fino al 1688. Nel 1693 fu ultimato il ciclo degli affreschi raffiguranti le Storie della vita di s. Domenico nella zona absidale e cleristorio della navata centrale, forse in origine facenti parte di un progetto ideato dallo stesso Mattia Preti, invece ultimato da artisti operanti nel territorio presilano sul finire del Seicento: Francesco Zoda, Giuseppe e Tommaso La Rosa, le cui attribuzioni sono state recentemente proposte da Mario Panarello che attribuisce a Francesco Zoda anche la tela per l’altare dedicato a S. Domenico e S. Tommaso, oggi conservata nella filiale di S. Nicola, mentre a Giovanni De Simone le tele che decorano l’organo monumentale.
Durante il XVIII secolo, si registrò in S. Domenico la presenza di maestri chiamati ad arricchire il patrimonio artistico della chiesa: Cristoforo Santanna lavorò alla decorazione del soffitto ligneo dell’altare maggiore; Antonio e Giovanni Sarnelli eseguirono un ciclo di tredici dipinti di piccolo formato, mentre nel 1794-1795 iniziarono i lavori di riedificazione del campanile «anni prima ruinato». In quegli stessi anni, dall’Oratorio di S. Maria della Pietà, fu trasferito il gruppo marmoreo raffigurante la Madonna col Cristo morto, assieme ad alcuni arredi della chiesa.
Agli inizi del XIX secolo, durante il dominio francese, il convento dei Domenicani fu soppresso per essere poi ricostituito nel 1820. Nel 1861 un vero assedio da parte di circa 200 briganti costrinse alle barricate entro S. Domenico parte della popolazione, che resistette all’attacco fino all’intervento delle Guardie Regie. È per questo drammatico evento che fu perduto in un incendio l’intero archivio della chiesa e la preziosa biblioteca dei Domenicani. Sei anni più tardi, nel 1867, in esecuzione delle leggi governative italiane, a svantaggio dei religiosi, la vita monastica del convento di S. Domenico cessò d’esistere; gli spazi dell’antico cenobio furono destinati a usi pubblici e la chiesa dichiarata demaniale.
Alfonso Frangipane nel 1907 visitò i maggiori edifici ecclesiastici di Taverna; S. Domenico come gli altri risultò in grave stato di degrado: «tutto ciò va distruggendosi sotto strati secolari di polvere e di muffe»; nello stesso anno fu redatto un primo progetto di restauro dell’edificio danneggiato dal sisma di due anni prima e che trovò successiva ufficialità in una deliberazione del Consiglio Comunale di Taverna del 4 dicembre 1923.
Il 29 aprile 1929, con una lettera al podestà di Taverna Gregorio Ricca, Alfonso Frangipane, Presidente della Società Mattia Preti di Reggio Calabria, organizzò una raccolta di fondi per il restauro dei dipinti del Preti nel paese natale dell’artista: «Noi intendiamo che esso sia fatto significativamente con contributi degli stessi calabresi, in modo che il Governo abbia da noi un segno spontaneo e concreto della nostra forza di volontà per la valorizzazione di un patrimonio d’Arte che orgoglio e ricchezza della Patria». Nel 1930 la Real Soprintendenza comunicò l’inizio dei lavori di restauro della chiesa e l’incarico al prof. Tullio Brizi per il restauro dei dipinti di Mattia Preti. Nel 1932, durante i lavori di consolidamento della sacrestia di S. Domenico, furono rinvenuti sotto il pavimento i resti di un cadavere muliebre inumato che «conservava ancora considerevoli frammenti delle ricche vesti in broccato d’oro e trine e altri pregevoli resti». L’11 luglio 1934 la Commissione Interdiocesana di Arte Sacra per Catanzaro e Squillace respinse la proposta avanzata della Real Soprintendenza, dal Consiglio Comunale e dalla Società Mattia Preti di trasferire dalla chiesa di S. Barbara i dipinti del Preti per la Pinacoteca Pretiana di S. Domenico. Il 10 novembre 1935, Vincenzo Mustari fu incaricato del trasferimento delle tele pretiane dalla chiesa dei Cappuccini a quella comunale di S. Domenico. Nel 1938-1939, i lavori di restauro di S. Domenico furono ultimati.
Negli anni oscuri della guerra e della difficile ricostruzione non si hanno notizie storiche rilevanti riguardanti la chiesa di S. Domenico dalla quale, secondo la memoria orale locale, furono trasferite le opere d’arte nei depositi del convento per preservarle da eventuali distruzioni e saccheggi.
Nei primi anni ’60, dalla vicina chiesa di S. Nicola venne trasferita la tela della Madonna della Purità, dipinta da Preti per la famiglia Poerio.
La notte del 26 febbraio 1970 furono rubati dagli altari, otto dipinti di Mattia Preti, la Madonna della Provvidenza, attribuita a Gregorio Preti e due opere d’ignoti autori del XVII secolo; a seguito del furto si decise la chiusura della chiesa e il trasferimento in altre sedi del restante patrimonio artistico.
Dopo il ritrovamento delle opere trafugate, recuperate negli anni 1972-1973, si avviò un nuovo progetto di recupero dell’intero edificio Domenicano e di tutte le opere d’arte ivi conservate, dislocate per il restauro nei laboratori di Cosenza, Napoli e Roma.
Dal settembre 1988, quando la chiesa fu riaperta al culto iniziò una complessa opera di ricontestualizzazione del suo ingente patrimonio artistico; gran parte delle pale devozionali furono ricollocate negli altari delle navate; rimangono tuttavia evidenti i segni di un tortuoso ventennio. Più attenti studi sul complesso architettonico della chiesa di S. Domenico dovranno necessariamente essere intrapresi, al fine di migliorare l’aspetto museale del monumento, spesso alterato da una poco chiara e variegata funzionalità che rischia di sminuire l’immagine preminente della più importante pinacoteca pretiana calabrese.
Cenni Descrittivi
La Chiesa di San Domenico annessa all’ex convento Domenicano, considerevole complesso architettonico oggi sede municipale e del Museo Civico di Taverna, mostra una facciata costituita dall’ingresso centrale con elegante portale a fastigio, sostenuto da quattro colonne ioniche e ornato da cornici, rilievi, acroteri e volute, culminanti con la statua di S. Domenico; ai lati, due finestre ovali, sotto il frontone triangolare disegnato dalle linee del tetto a capanna e ornato al centro da un altorilievo raffigurante due angeli con i simboli della chiesa. L’interno a pianta basilicale (arconi laterali a destra e ampie cappelle nella navata minore a sinistra) conserva quasi intatta la decorazione barocca, articolata in ricchissimi piani ornati da stucchi, intagli e dipinti nello spazio centrale, fino al maggiore altare; da qui si accede alla sacrestia arredata da mobilio seicentesco, ma che è priva dell’originario soffitto ligneo. La navata minore, coperta da volte a botte, è segnata da archi trasversali; da questa si accede al vano dell’Oratorio, in prossimità della cappella dedicata alla Vergine del SS. Rosario.
Restano ancora privi dei paliotti seicenteschi e ottocenteschi alcuni altari della chiesa, all’interno della quale bisogna tuttavia operare mirate scelte di funzionalità atte a non mortificare la suggestiva bellezza di un luogo che costituisce l’emblema della storia culturale della città di Taverna.
Oratorio dell’Arciconfraternita dedicata alla Madonna del SS. Rosario
All’ampliamento della chiesa conventuale di San Domenico, documentato dagli anni sessanta del XVII secolo, si può verosimilmente far risalire la fondazione e coeva costruzione dell’Oratorio dedicato alla Madonna del SS. Rosario nel cui vano rettangolare si conserva una ricca decorazione in stucchi policromi e tracce delle originarie pitture murali, coperte da una serie di quindici tempere su carte intelate raffiguranti i Misteri del SS. Rosario, realizzate dalla bottega di Francesco Frangipane nel 1902. Si tratta di interessanti bozzetti di opere murali mai realizzate, che dopo un lungo periodo di abbandono in vari depositi sono stati recentemente interessati da un progetto di recupero conservativo, promosso dalla stessa arciconfraternita presieduta dal priore Paolo Garcea e curato dalla restauratrice Caterina Bagnato con la direzione della competente Soprintendenza ai beni artistici della Calabria.
Dalla distrutta chiesa di Santa Maria della Pietà proviene l’altare ligneo con ai lati le due sculture di S. Giovanni Apostolo e S. Maria Maddalena, che in origine completavano con la statua della Pietà l’antico fastigio dell’Oratorio dei Nobili. Risale al 1903 la committenza all’argentiere milanese Luigi Bernasconi di una splendida croce processionale, realizzata e consegnata nel successivo anno 1904.
Giuseppe Valentino